domenica 11 dicembre 2011

Ricordi in rete - Carlo Santulli

Gli uomini, si sa, non leggono la letteratura femminile. Si sa, perché il più delle volte lo dichiarano loro stessi, quasi con sdegno. Specie se sono quelli un po’ intellettuali, cui piace essere aggiornati, à la page, come si dice. Ci sono dei casi (tanti, davvero) in cui sbagliano. Ma non diteglielo, se potete.
Così, si sbagliava quel “marito di sua moglie”, dal titolo di una novella di Brunella Gasperini, che non ce la faceva a tornare a casa, dalla moglie, che faceva tutto come dieci donne (ridere, piangere, scrivere, ecc.), e preferiva una ventenne, morbida, magari la tipica cassiera di un bar, anche se per continuare a guardarla dobbiamo riempirci lo stomaco di bitter, che non ci piacciono mica poi tanto, ed ovviamente pagarli.
Per scoprire che la cassiera, la Floretta, altro non voleva che conoscere nostra moglie, quella che scrive le novelle che tutte leggono, con gli occhiali e sempre indaffarata intorno ad una pagina o ad uno scritto, o magari intorno al nastro della macchina da scrivere inceppato. “Il marito di mia moglie”, tematica che Brunella Gasperini espande in un intero breve romanzo, un’autentica perla di lieve umorismo familiare, “Io e loro. Cronache di un marito”. Guardarsi come mi vedono gli altri di casa, non è da tutti, sembra quasi un esercizio di bilocazione, più che un racconto.
Titolo non granché originale, e credo volutamente, “Il marito di mia moglie”, è stato un film tedesco degli anni ’30, ma ancora prima è una novella di Pirandello, ed una pochade francese, tradotta in romanesco, e portata al successo da Checco Durante già nell’anteguerra. Ma la questione del titolo “usato”, anzi abusato, è indicativa del modo di lavorare di Brunella Gasperini: non pretende di cambiare il mondo, e nemmeno di raccontare verità sconvolgenti, ma vorrebbe che quelle che sono le nostre realtà di ogni giorno le vivessimo diversamente, per esempio con un sorriso, magari ironico. Senza dimenticare che dal sorriso e dall’ironia partono le vere rivoluzioni, quelle che cambiano il mondo, quelle fatte con le armi durano poco. 
Anche la realtà di essere bocciati ad un esame, al primo esame, quello dato di fronte ad un professore annoiato e stanco in uno di quegli interminabili pomeriggi passati a ripercorrere i corridoi eterni di un dipartimento, credendo (ancora) che l’università sia una cosa non solo difficile (come può esserlo, eccome), ma seria, come probabilmente non è (anche se legioni di genitori fanno finta di pensarlo). Ecco, quel ragazzo ero io a diciotto anni, e mi sono trovato specchiato in questa novella di una scrittrice che conoscevo appena. E diceva delle cose di me che avevo sempre pensato, non tutte positive veramente, ma aveva un modo di dirlo, quasi accennato, come quella parola su cui vorremmo sorvolare e che scappa detta, perché siamo tutti un po’ distratti, ed una piccola malignità non voluta, a volte, è anch’essa distrazione. 
Ma non insisto: perché se lo facessi, forse vi accorgereste che, nelle piccole cose che provo a scrivere, come questo breve ricordo di Brunella Gasperini, penso di esserle debitore (ed un po’ invidioso) di questa capacità di esprimere cose profonde ed importanti senza perdere mai il senso della misura, che è poi l’essenza dell’educazione, di quella vera. 
Una scrittrice che ha avuto un solo torto: quello di sparire troppo presto. Oggi, più che mai, la sua autoironia e corposa leggerezza sarebbe servita. E’ probabile che abbia cercato di trattare, con quelle sue armi delicate e sottili, fin con la malattia e con la morte. Ma questa dal lato dell’ironia ci sente poco, perché il suo dovere, ingrato, è un altro.


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